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Esiste il vino biologico?
Il vino è espressione artistica e, in quanto tale,
svincolato da esigenze di marketing.
Mosso emotivamente dalla forza evocativa suscitata dalla parola “biologico”, qualcuno ha tentato di vendere vino biologico; è bene essere chiari subito: il vino biologico, ufficialmente, non esiste. Esiste al momento solo il regolamento per la produzione di UVE biologiche, con il quale si regolamenta la produzione di uve, secondo le certificazioni del regolamento europeo 2092/91 (quello che definisce l’agricoltura biologica).
D’altra parte, se la natura segue il suo corso, il processo fermentativo della trasformazione dell’uva in vino è quanto di più biologico possa esistere.
Per essere chiari, quello che si certifica è il metodo di coltivazione e non il prodotto; tanto meno il metodo di trasformazione.
Tutte le successive lavorazioni di cantina sono lasciate all’iniziativa e all’abilità del produttore, l’unico che ci possa garantire la qualità del vino, al di la di sigle, metodi e tecniche impiegati.
Ci pare di poter affermare che le principali tecniche di trasformazione dell’uva in vino, unite a quelle per la chiarificazione, stabilizzazione e conservazione sono tali e tante che, pur adottando quelle meno invasive, esulano dall’idea di biologico, in quanto, molto spesso riducono il vino, da prodotto particolare, vivo e vitale in continua evoluzione, in prodotto industriale, inerte ed omologato, miseramente, inevitabilmente, tristemente sempre uguale. Il vino industriale è una contraddizione in termini!
Purtroppo la qualità del vino è dettata dalla esigenza imprenditoriale di ottenere una produzione sempre uguale, ma la natura nega con forza questa impostazione!
Per sua natura il vino è prodotto esattamente opposto al prodotto industriale, che non varia mai anche se prodotto in zone diverse, in tempi diversi, da diverse persone: il vino varia da vitigno a vitigno, il quale ha prodotti diversi da zona a zona, varia a seconda dell’andamento climatico, e si evolve continuamente in una vita simile a quella umana, durante la quale nasce, si educa, matura e declina: a noi la capacità e la scelta di giudicarlo nella sua evoluzione e di apprezzarlo al culmine delle sue potenzialità.
Si sente ripetere continuamente che la qualità si fa in vigna, ma se otteniamo un ottimo prodotto di partenza in vigna, perché poi con gli interventi in cantina non si rispetta l’originalità di questo prodotto? Ormai l’autorizzazione all’aggiunta di mosti concentrati arriva indipendentemente dall’andamento stagionale, mentre doveva essere solo pratica di soccorso per annate eccezionalmente negative; si vinifica con lieviti selezionati anche quando le uve sono perfettamente sane, perdendo, con il lievito selezionato, tutti i profumi, i sapori e le sostanze correlati alla tipicità del terroir. Il lievito cosiddetto selvaggio presente sulla buccia dell’uva è l’espressione della tipicità e dell’identificazione territoriale!
Un vino destinato alla commercializzazione di massa, richiede energici interventi di conservazione, che spogliano il vino delle sue tipicità che lo rendono così particolare! Noi crediamo fermamente che il vino prodotto da aziende di grosse dimensioni non possa rispondere all’immagine del vino artigianale prodotto da un piccolo viticoltore appassionato, non per cattiva volontà, ma per la materiale impossibilità di controllare in ogni suo processo una grande quantità di materia prima che perciò va trattata a calendario, senza attenzioni ai quantitativi ed alla tempestività di intervento.
Si capisce quindi,che anche avendo uve di produzione biologica, quando la mano, speso pesante, dell’enologo interviene in cantina per correggere uva non perfettamente sana e dominare un prodotto di per se stesso vivo e incontrollabile, le tecniche che si adottano portano inevitabilmente alla mortificazione della naturalità del vino ottenuto, corretto, certo, ma impersonale e senza tipicità.
Abbiamo la presunzione di poter produrre vino buono esclusivamente con il controllo delle temperature e con i travasi ed anche se siamo consapevoli dei rischi che si corrono. Affineremo i nostri vini solo con il trascorrere del tempo, concedendo al vino il suo tempo naturale per maturare.
Tenteremo di seguire questa strada per poter gustare e confrontare le emozioni che ci ispirano i vari aglianico, cabernet, montepulciano o marzemini prodotti al di fuori di zone tradizionali e concedendo a madre natura la possibilità di evolvere i sapori, gli aromi e le sensazioni che solo un vino sano, vivo e vitale può possedere, sperando che queste sensazioni si identificano con quelle che il suo produttore ha voluto trasmettere ai suoi ospiti.
Protocollo per l’ottenimento di VINI BIOLOGICI / ORGANIC WINE detti anche BIODINAMICI
Una vinificazione naturale, o biologica investe una nutrita serie di aspetti.
Il primo aspetto riguarda la vigna e la sua coltivazione. Obiettivo primario è l’ottenimento di uve sane, la cui vendemmia va effettuata al giusto punto di maturazione, (relativamente al vino che si vuole ottenere) con tecniche di raccolta che evitino le alte temperature e con un ammostamento dei grappoli il più veloce possibile; la delicatissima fase della pigiatura deve avvenire nel modo più delicato che sia possibile per evitare di estrarre sostanze nocive alla futura qualità del vino; bisogna seguire costantemente la fermentazione, che deve avvenire in modo regolare, con temperatura controllata ed uniforme, preferibilmente in tini di legno, soprattutto per i rossi.
La dotazione di cantina deve essere curata per assicurare la massima igienicità, evitando i contenitori in vetroresina o cemento non vetrificato e utilizzando solo legno o acciaio inox perfettamente puliti.
Dopo la fermentazione, ottenuta con una “pie de cuve” che è di gran lunga meglio degli starter, lieviti selezionati e relativi nutrienti, si preferirirà illimpidire il vino con pratiche statiche a freddo piuttosto che gelatina, bentonite e sol di silice e che per la stabilizzazione è il caso di evitare sorbati e acido metatartarico, permettendo solo al tempo ed ai travasi di fare il loro lavoro con una naturale fermentazione malolattica, e così via…
L’attenzione si sofferma spesso sull’anidride solforosa, una sostanza antiossidante che ha una funzione antisettica, utile a limitare lo sviluppo di batteri nocivi alla qualità del vino e a prevenirne ossidazione e deperimento: va usata con la massima parsimonia e senza causare eccessivi depositi di quella fissa, che è nociva.
Resta comunque il fatto che l’anidiride solforosa ha notevole importanza nella vinificazione, non fosse altro per i tanti aspetti positivi che offre, contro il solo pericolo derivante da un suo cattivo ed eccessivo uso. In effetti è praticamente l’unica sostanza di sintesi che i disciplinari delle associazioni biologiche autorizzano (con un dosaggio ammesso mediamente da un terzo a un quarto di quello previsto dalla legislazione generale in materia di vino) e che, finora, se ne poteva tacere la presenza in etichetta (anzi: i produttori che intendevano vantarne l'assenza incontravano una serie di ostacoli da parte delle pubbliche autorità).
Bisogna premettere che senza uva perfettamente sane non è possibile pensare di arrivare ad un vino biologico, poiché la vinificazione di uve imperfette obbliga chiunque alla disinfezione e all’impiego di tante pratiche, ben note, (nella fase della vendemmia, della pressatura, della macerazione del pigiato, all’illimpidimento dei mosti, alla correzione dell’acidità, fermentazione alcolica e malo-lattica, solfitazione, conservazione, chiarificazione e filtrazione, confezionamento) che nulla hanno di biologico. Questa premessa ci riconduce direttamente a quelle vecchie, sane, tradizionali regole di impianto che fino a circa 100 anni fa prescrivevano la vocazione di un territorio, non solo per la vinificazione ma anche per ogni altro tipo di coltura (in pianura foraggio – in collina vite e olivo – in montagna pascolo brado).
E’ quindi indispensabile impiantare in territori vocati, quali ci vengono segnalati dalla esperienza e dalla nostra storia vitivinicola. Se qualcuno di essi è diventato famoso dopo centinaia di anni di vinificazione, evidentemente le basi pedologiche erano buone. Inoltre, per sua natura, legata al sempre diverso andamento climatico, al microclima, ai sistemi di allevamento, ai trattamenti, da sempre si è valutato il vino sulla media di vari anni di produzione perché è utopia pretendere ogni anno, sempre, l’identico, industriale, anonimo vino omologato.
L’igiene delle cantine è requisito fondamentale per ottenere prodotti di qualità, pertanto la perfetta sanitizzazione di locali e delle attrezzature è alla base di ogni buona vinificazione. In affiancamento si consiglia una cantina con possibilità di condizionamento termico e l’impiego di contenitori di acciaio inox ASI 316. Per la fermentazione e l’invecchiamento i fusti, di rovere o castagno, devono essere assolutamente puliti e senza incrostazioni tartariche.
- Le uve sono vendemmiate a mano e selezionate in vigna;
- Sono raccolte in cassette di piccole dimensioni, non pressate per evitare l’avvio di fermentazioni indesiderate e vinificate nel più breve tempo possibile;
- Pigiatura e diraspatura soffice per mezzo di presse orizzontali pneumatiche;
- Avvio della fermentazione con una “piè de cuveè” e controllo termico per evitare arresti e sviluppi microbici indesiderati, senza uso di additivi e coadiuvanti tecnologici;
- Ossigenazione dei mosti per mezzo di follature per favorire l’attività microbica, l’estrazione e la stabilizzazione del colore;
- Uso molto attento del l’SO2 in fase fermentativa e limitatamente alle dosi MAX di 20 mg/l in abbinamento con l’uso di gas inerti quale anidride carbonica o azoto, cercando di tenere basso il valore di SO2 totale e alto il valore della libera con l’adozione di corrette pratiche enologiche
Illimpidimento e stabilizzazione ottenuta esclusivamente con la fermentazione malolattica indotta e tramite i travasi; affinamento ottenuto solamente tramite il trascorrere del tempo, concedendo al vino i tempi naturali di evoluzione, prima in botte e poi in bottiglia. |
L’Arcera
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