L’Aglianico in Val d’Agri, a Viggiano
L’ambiente interessato al mondo-Aglianico attraversa un periodo di…”fermento”, anche in virtù del periodo di vendemmia!.. La moderna tecnologia e soprattutto le indagini genetiche con il DNA stanno spazzando via ogni nebulosa teoria circa le varietà, le loro origini, le tradizioni, ricche di falsi sinonimi ed omonimie, spesso confuse e ammantate da una cortina fumogena che ne avrebbe dovuto fornire un attestato di nobiltà, quasi sempre derivata dai magnanimi lombi della Grecia Classica. E perché sempre dalla Grecia?..semplice: perché al tempo dei Romani, i vini migliori erano i vini greci, in contrapposizione ai vini latini, semplici e commerciali. Vini Greci di omerica memoria: “offrì a Polifemo un vino greco dolcissimo,” che lo ubriacò . perche i vini greci, mai ellenici per i romani, erano vini potenti, ottenuti da viti basse allevate ad alberello, secondo la moda dei greci, e ai quali un appassimento delle uve conferiva dolcezza e forte alcolicità. Oggi li chiamiamo passiti.
Sulle teorie, più o meno verosimili, circa le origini dell’Aglianico si sono sbizzarriti vari autori, come il Carlucci, valente ampelografo lucano, il quale per troppa passione ha pensato di fornire al suo amato aglianico una nobile genealogia greca, facendolo derivare da un improbabile vitigno ellenico, con una cantonata madornale. Per varie ragioni. Oggi sappiamo che la parola Ellenismo, secondo il vocabolario Zingarelli, è venuta in uso nel 1640 in seguito alla moda di visitare l’Italia per conoscere le rovine della Magna Grecia sulle tracce del Gran Tour. Per i Romani esistevano solo vini greci ed uve graecule, mai elleniche. Altro fortissimo argomento è quello che ci dice che a tutt’oggi non esiste in Grecia traccia di viti di Aglianico, varietà mai segnalata in questa regione. Inoltre il primo documento che cita la parola Aglianico è databile intorno al 1650, come citato nel competente ed esauriente articolo di Riccardo Valli che potete leggere qui.
http://www.tigulliovino.it/dettaglio_articolo.php?idArticolo=54
Le varie origini etimologiche della parola non sono poi assolutamente giustificate né nell’etimo e ancor meno nella documentazione, poiché l’unica verità è che in ogni sostantivo, anche romano, la desinenza – iano –icus descrive appartenenza, come ancora oggi è usata, quando per dire di Pompei diciamo pompeiano o per dire salsiccia lucana i romani la dicevano lucanica.
L’uva che oggi si utilizza per i vini moderni a base di Aglianico è certamente uva di grande pregio, una varietà molto antica, attestata da un notevole patrimonio genetico di biodiversità, come si capisce dal notevole numero di biotipi ritrovati. Uva che attraverso i probabili incroci subiti con varietà autoctone, conserva una sua rusticità che ritroviamo poi nei vini che ne derivano.
Fornisce vini complessi, di forte carattere e personalità, ricchi di antociani, che richiedono competenza e preparazione a chi si accinge ad assaggiarli. Non sono semplici da bere, in principio, così ricchi di estratto, ruvidi e spigolosi, con tannini aggressivi. Va quindi commercializzato dopo almeno 3-4 anni di invecchiamento, quando il tempo e le cure del cantiniere avranno ammorbidito e arrotondato quei tannini che lo renderanno un grande vino, austero e complesso, atto ad un lungo invecchiamento. Ce ne dà testimonianza uno dei massimi tecnici italiani, Arturo Marescalchi, quando dice ”chiedendo scusa ai miei Nebbiolo e Barbera, devo ammettere che l’Aglianico è il loro fratello maggiore”. Ma è un vitigno nostro, territoriale, per il quale, finalmente, il termine autoctono può essere usato nel senso più compiuto del termine. Quindi vitigno che non proviene da altri paesi ma che molto probabilmente trae origine in queste terre lucane, quel territorio racchiuso tra Paestum, Metaponto e Laos/Pollino, identificato come Terzo centro di domesticazione delle vite e del quale la Val d’Agri è il cuore verde.
E, a quanto sembra, avendo in comune un avo con Dureza e Teroldego, (vedi qui) ha dato origine. Vedi qui http://www.aivv.it/Archivio/Atti/R030_1005_1022_Grando.pdf
a tante altre uve blasonate, come il sirah, il marzemino, il legrein, refosco ecc, uve che si sono affermate in territori ben lontani dalla nostra Lucania. D’altronde il Sirah ha questo nome perchè trae origine da un vitigno allevato nella Siritide, anch’essa area lucana.
Il profondo lavoro di ricerca ultimato da DeLorenzis ed altri
https://air.unimi.it/retrieve/handle/2434/206581/239964/De%20Lorenzis%20et%20al.%2c%202012.pdf
ce ne fornisce tutte le possibili parentele e derivazioni. Questo per buona pace dei tanti accademici “basilicatesi” che rivendicano diritti di primogenitura e spendono migliaia di euro di soldi pubblici per attestare una genealogia già ben conclamata. Ma tant’è…lo spreco del danaro pubblico senza una programmazione ed un obiettivo definito non è solo un fatto regionale ma nazionale.
Le ricerche circa l’identificazione dei vitigni autoctoni lucani va avanti da circa 10 anni, ed i risultati hanno portato ad impiantare, in loco, nell’azienda ALSIA di Villa d’Agri. un campo catalogo che ormai è giunto alla fase produttiva: Vedi la ricerca Basivin Sud
portata a termine dai tecnici del CRA e del CNR. e l’articolo di Jeremy Parzen del 2008 https://dobianchi.com/2008/01/29/aglianico-ellenico/
Le Istituzioni Lucane hanno finalmente scoperto la potenzialità dell’Aglianico con vari decenni di ritardo, spingendone finalmente la promozione, ma perdendo ancora una volta l’occasione per comprendere la grande potenzialità offerta dallo straordinario patrimonio di biodiversità viticola costituito dalla biodiversità delle viti lucane. E quindi è necessario passare alla vinificazione per indagare le potenzialità enologiche dei vitigni impiantati, pur continuando la ricerca nei vecchi vigneti di cui è ricca la Basilicata.
Non sappiamo se l’uva Aglianico che conosciamo oggi nei due principali biotipi Taurasi e Vulture sia proprio l’uva sperimentata e riprodotta in Val d’Agri nel II sec DC dalla famiglia romana degli Alli. Il dott Del Lungo fa risalire le origini del nome a questa antica famiglia di imprenditori romani costruttori di ermici e vasi vinari, e che avevano estese proprietà in Italia meridionale. Lo attestano varie iscrizioni lapidee, la toponomastica della regione con il fiume Alli ed il Pagus Alliano ed il ritrovamento di numerose “villae rusticae” dove si producevano derrate da spedire a Roma e l’uva Allianica, in quanto “uva degli Alli”.
Ci conforta invece sapere che con questo studio ci siamo avvicinati nel modo più concreto possibile all’origine vera del nome Aglianico.