Introduzione alle origini della viticoltura Europea.

Vinum Nostrum

Una ricerca partita anni fa dal Laboratorio di Ricerche Applicate di Pompei, istituito con fondi CNR,  ha l’intento di studiare le componenti naturalistiche del territorio vesuviano, da far poi confluire in un archivio biologico nazionale.

Parte da Firenze la grande mostra Vinum Nostrum (dal 20 luglio al 15 maggio 2011 a Firenze, Palazzo Pitti) che ripercorre la storia della vite nell’antichità, dalla Mesopotamia alla Grecia fino a Roma, da dove si diffuse a

Pompei - Vigneto del Triclinio estivo

tutte le Provincie dell’Impero. Il percorso segue la antiche strade del vino in Italia, da Firenze, a Pompei a Grumento Nova, ed approfondisce la conoscenza della viticoltura antica in regioni dal grande fascino paesaggistico.  Particolarità dell’iniziativa è quella di proporre contemporaneamente in tutta Italia una serie di itinerari collegati, iniziando dall’area archeologica vesuviana, custode di una testimonianza unica sulla viticoltura antica: l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. infatti sigillò oltre alla città con i suoi abitanti anche gli ambienti naturali insieme alle straordinarie tracce di una coltura che tanta parte ebbe nella storia antica. In particolare  a Pompei sono stati individuati utensili, attrezzature, affreschi relativi alla viticoltura e dei vinaccioli risalenti all’epoca dell’eruzione Il reimpianto e la valorizzazione dei vigneti dell’antica Pompei costituiscono ormai un modello per gli scienziati di tutto il mondo: Gli aspetti scaturiti più interessanti sono relativi all’Agricoltura ed all’Alimentazione nel mondo antico. E’ stato

Vigneto sperimentale negli Scavi di Pompei
Vigneto sperimentale negli Scavi di Pompei

possibile così ricostruire un vigneto di due ettari, seguendo le tecniche utilizzate dai Romani impiantando vitigni ancora oggi rinomati, come l’Aglianico, il Per’e Palummo (Piedirosso) e lo Sciascinoso. Da questi vitigni si è ottenuto un vino che è stato chiamato “Villa dei Misteri”, vera espressione di quei vini naturali, oggi tanto ricercati.

Si è approfondita la ricerca quando si è affiancato il Museo di Grumento  il quale ha affidato al Laboratorio lo studio di alcuni reperti rinvenuti nel Parco archeologico di Grumentum, relativi alla vitivinicoltura di epoca Romana e Greca.

Dallo studio dei reperti e da ricerche condotte in loco con la collaborazione del Direttore del Parco, Dott  Capano, si è potuto risalire alle tecniche di impianto tipiche della viticoltura greca, con viti basse di circa 30 cm, i cui tralci erano sostenuti da canne poste a treppiedi, le cosiddette “Vigne a Capanno” .Inoltre sono emersi i resti di alcuni palmenti, di cui restano splendidi esempi anche a Pietragalla  e negli stessi scavi di Grumentum.

Lo studio ha evidenziato come la viticoltura greca, dal litorale ionico sia penetrata in Lucania (antica Enotria) attraverso le vie d’acqua dell’Agri e del Basento, e come sia giunta alla Paestum lucana e quindi in Campania attraverso la Sella di Conza, vero crocevia dei traffici preromani, collegando i bacini lucani con la via del Sele verso Paestum e con la via dell’Ofanto verso Canosa ed il litorale appulo.

Tutto questo trova anche conferma nei recenti studi del CRA e del CNR svolti sul reperimento di antichi cloni delle regioni meridionali, che hanno evidenziato come tutto il meridione sia stato un solo grande vigneto in cui le migliori uve venivano impiantate senza distinzione di regioni o di popolazioni.

La Lucania, odierna Basilicata, è un po’ la culla della viticoltura europea: non a caso la sua più antica popolazione era quella degli Enotri, che abitavano l’ Enotria, la terra del vino, e i suoi vini, i lucani e i lagarini, sono ricordati dagli scrittori classici. La Regione ha tutelato gran parte del propri territorio e oggi è quella che in Italia in proporzione ha la maggiore concentrazione di parchi e di riserve naturali. All’interno di queste aree , dai microclima alquanto diversi e dalla spiccata biodiversità,  numerose varietà dai nomi piu vari e dai molti sinonimi,  sono all’attenzione dei ricercatori lucani, che insieme al CRA, hanno intrapreso una ricerca volta alla valorizzazione di questi cloni.  Particolarmente ricco il programma degli itinerari a partire da quello del Vulture, un vulcano a caldera spento da epoca preistorica. Ricco di sorgenti, ricoperto di boschi formati tra gli altri da faggi, querce, frassini ha una ricca flora costituita da ben 977 specie comprendenti piante officinali di pregio. Le sue larghe e fertilissime pendici di natura vulcanica ospitano estesi vigneti coltivati ad aglianico: il termine sembra essere corruzione di vitis hellenica, il vitigno che la tradizione vuole importato nella terra degli Enotri dall’ antica Grecia. Soprattutto nei vigneti a consumo familiare la tecnica colturale è molto antica: viti condotte ad alberello basso e tralci raccolti su tre canne appositamente disposte. Uno dei paesi più rappresentativi è Barile il cui nome potrebbe anche essere riferito allo stemma che raffigura un barile e un grappolo d’uva, a testimonianza della vocazione territoriale strettamente legata all’ aglianico.. Interessanti sono le oltre cento cantine scavate nel tufo circa cinque secoli fa e ancora oggi utilizzate per l’invecchiamento del vino, simbolo dell’arte enoica barilese. Nel territorio sorgono molte Cantine, tra cui  Paternoster, premiata nel 2004 con il Premio Roero proprio per l’ attività di recupero e di valorizzazione della viticoltura nell’ area del

I Palmenti di Pietragalla
I Palmenti di Pietragalla

Vulture, iniziata già agli inizi del secolo scorso ad opera di Anselmo Paternoster , che decise nel 1925 (data ancora ben visibile sul portone dell’azienda), di destinare alla vendita le prime bottiglie di Aglianico, sino ad allora prodotte per consumo familiare.

Non molto lontana sorgono Melfi, con l’ imponente castello di Federico II e Venosa, patria di Orazio, il poeta del Carpe Diem. Poco fuori del suo abitato sono l’ anfiteatro e i resti di un quartiere di epoca romana con mosaici raffiguranti anche tralci di vite.
I percorsi del vino continuano passando per Pietragalla, , ai margini dell’ area del Vulture, il cui Comune è stato premiato con il Premio Roero 2004 per l’ attività di recupero e di valorizzazione dei palmenti che caratterizzano il suo territorio: appena fuori paese sorge infatti un vasto insediamento di queste caratteristiche strutture utilizzate per la pigiatura del vino scavate parzialmente nel tufo e ricoperte di zolle di terra. Questi palmenti, organizzati, a seconda del numero dei proprietari che si servivano di ciascuno di essi, con una o più vasche per la pigiatura in cui veniva lasciato fermentare il mosto, sono di grande interesse per lo studio dell’ architettura rurale del passato.
L’altro percorso del vino in terra lucana si svolge in Val d’Agri, cuore del Parco Nazionale dell’ Appennino Lucano: racchiusa tra le alte montagne del Volturino e del Sirino gode di una splendida natura ed è ricca di testimonianze archeologiche che ne sottolineano il percorso seguendo il fiume fino al suo sbocco nello Ionio, nei pressi dell’antica Heraclea, in quella porzione di territorio dove erano i terreni dedicati a Dioniso. Terra di famose scuole di ceramisti fioriti alla fine del V sec. a. C., fu forse una delle vie percorse da alcune varietà di vite per giungere dall’antica Grecia a Roma. Plinio indica i luoghi che circondavano Grumentum (Grumento) come area di produzione dei lagarina vina : attestazioni arrivano anche dal ritrovamento di reperti archeologici di varia natura legati al mondo del vino. D’altra parte nell’ area archeologica sono conservati alcuni palmenti ottocenteschi, che dimostrano il perdurare nel tempo della tradizione viticola del luogo.

Lascia un commento

Chiudi il menu